Dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, i Siciliani avevano creduto nella liberazione dai Borboni, nell’abolizione della tassa sul macinato (17 maggio 1860) e nell’assegnazione delle terre ai contadini con i Decreti del 2 Giugno, emanati da Garibaldi che aveva assunto la Dittatura in Sicilia il 14 maggio 1860 a Salemi. Ma le terre non furono consegnate,e ciò provocò insurrezioni popolari in varie parti dell’entroterra siciliano: nel territorio catanese le più significative scoppiarono nei comuni di Bronte, Centuripe, Regalbuto, Randazzo, Biancavilla e Linguaglossa; nel territorio messinese, ad Alcara Li Fusi, altre in alcune zone del trapanese. Nel comune di Bronte la repressione fu ordinata dal generale garibaldino Nino Bixio, che fece processare e condannare alla pena di morte mediante fucilazione, con sentenza ex abrupto del 9 agosto 1860, cioè senza alcun processo, cinque cosiddetti “rivoltosi”: Nicolò Lombardo (Presidente del Municipio), Nunzio Sampieri Spiridione, Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Ciraldo Fraiunco (lo scemo del villaggio), Nunzio Longhitano Longi. Dopo la discutibile interpretazione data da Giovanni Verga nella novella “Libertà” (1882), fu lo storico locale Benedetto Radice, testimone diretto, a scrivere la verità su quella repressione popolare in un articolo del 1910, titolato“Nino Bixio a Bronte”. I fatti di Bronte segnarono una delle pagine più tristi nel lungo cammino dell’unità nazionale, una unità che ancora oggi non è del tutto compiuta. (Pino Dicevi)