Lunedì 9 maggio, con lo scoppio di tumulti popolari, Milano è presidiata da 6.200 militari dotati di cannoni e artiglieria. Un gruppo di affamati, in gran parte barboni, accattoni e poveri, si riunisce per protestare contro l’aumento del prezzo del pane: chiede solo qualcosa da mettere in bocca: Napoleone Colaianni l’ha chiamata “la protesta dello stomaco”. Il generale Bava Beccaris ordina ai suoi uomini di sparare sulla folla. Il numero delle vittime della carneficina non è stato mai accertato: secondo la prefettura furono 88 e i feriti 400. Secondo il cronista repubblicano Paolo Valera, sarebbero stati almeno 118, e i feriti oltre 400, secondo alcuni testimoni oculari i morti furono oltre 300. Tra i soldati si contarono due morti: uno si sparò accidentalmente e l’altro fu fucilato sul posto subito dopo essersi rifiutato di aprire il fuoco sulla folla. Tra gli arrestati alcuni leader socialisti, radicali e repubblicani, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Andrea Costa, Leonida Bissolati, Carlo Romussi, Paolo Valera. Per la sanguinaria repressione, a Bava Beccaris, soprannominato “il macellaio di Milano” dall’opinione pubblica, venne conferita la croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, gesto che inasprì ancor più gli animi. Il capo del governo il siciliano Antonio di Rudinì, gli telegrafò: «Ella ha reso un grande servigio al Re e alla patria». L’atto suscitò uno sdegno così grande che un anarchico, Gaetano Bresci, uccise in un attentato Umberto primo, per vendicare i morti di Milano.